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  • PSICOANALISI E LAICITÀ

    Ivan Ottolini (a cura di)

    M@gm@ vol.13 n.3 Settembre-Dicembre 2015


    • Ivan Ottolini

      Il progetto di poter dar voce a una serie di psicoanalisti che si interrogano su alcune questioni molto care alla nostra pratica, è stato da sempre un obiettivo del Coordinamento Psicoanalisti Italiani (Coopi - www.coopiweb.it). Questo numero monografico della rivista M@gm@, ci permette di realizzare a pieno questo importante proposito, riuscendo a spaziare, come forse solo la psicoanalisi sa fare, da argomenti più politici a nuove frontiere nella pratica e nelle riflessioni. Partendo dal doveroso ringraziamento che facciamo a questa redazione, possiamo considerare questo numero come monografico perché accomunato dallo sforzo degli autori di portare alcune argomentazioni psicoanalitiche in un ambito di lettura che non sia per addetti ai lavori ma, al contrario, che possa permettere un approccio qualitativo alle questioni trattate.


    • PRIMA SEZIONE

      Marina Foramitti

      Il dialogo fra osservazione del sintomo, inteso come penetrazione ed emersione dell’attività inconscia nel dispiegarsi delle quotidiane funzioni della sfera conscia -sia esso lapsus, atto mancato, sogno, gioco, motto di spirito- e costruzione di un modello di funzionamento psichico, teso a individuare le direttrici che reggono la relazione con il sé e l’altro da sé, disvela precocemente, nell’evoluzione delle teorie psicoanalitiche, l’illusorietà della sovranità di un ego cosciente. Così come l’anidride solforosa si leva dal cono vulcanico a terrorizzare i nostri antichi progenitori con il suo messaggio di inferno sotterraneo, di fuoco e pericolo, segnale di forze insopprimibili e ingovernabili associate in epoche più recenti ai segni della presenza satanica, la psicoanalisi reca con sé, in questo metamessaggio eversivo, la sua peculiare puzza di zolfo.


    • Maria Grazia Giacomazzi

      Una singola legge può mettere alla prova l'intero sistema legislativo, è un fattore che ha a che fare con lo stile, che orienta una società verso una direzione, che sagoma le relazioni, mette alla prova i rapporti, mette in crisi le coscienze. Occorre dunque poter sempre riconoscere l'iniquità della legge dal momento che la vita degli esseri umani dipende dall'esito che ne scaturisce tra il rispetto della legge e il desiderio di ciascuno. Con l'entrata in vigore della legge 56/89 che istituiva l'Ordine degli psicologi e la figura professionale degli psicoterapeuti la gran parte degli psicanalisti italiani ha deciso di fare domanda per esercitare la psicoterapia, domanda cui non erano obbligati dal momento che la legge in questione non nominava la psicanalisi. Vi era compresa nel disegno di legge in un primo tempo, ma successivamente, nella stesura definitiva del testo, la parola "psicanalisi" era stata tolta. Le differenti soluzioni adottate finora e di cui si parla in questo breve testo continuano a fare problema attorno ad un punto: la psicanalisi è una professione? Per trovare una soluzione a questo problema si è costituito il Coordinamento degli psicanalisti italiani, Coopi, che vuole continuare pensare la professione dello psicanalista nel rispetto dei criteri analitici incentrando la propria riflessione sugli scopi teorici ma anche immediatamente politici della psicanalisi.

    • Anna Barracco

      In questo articolo l'autrice cerca di enucleare le questioni ancora aperte rispetto ad una auspicabile revisione dell'assetto normativo delle psicoterapie in Italia. A distanza di circa 25 anni dall'entrata in vigore della legge 56/89, alcuni nodi non cessano di creare disagio e anche concreto contenzioso all'interno del variegato contenitore delle relazioni d'aiuto. In particolare, la psicoanalisi, si trova minacciata gravemente di morte, e rischia di affogare dentro alla psicologia accademica senza che neanche gli psicoanalisti riescano in nessun modo a difenderla. Se da una parte, quindi, si riprende nell'articolo l'annosa questione della formazione dell'analista, e la necessità di tenere viva la possibilità che questa formazione sia sganciata da ogni priorità data all'accademia o all'università, dall'altra l'autrice cerca di indicare una mediazione, una via legislativa che, pur non entrando nel merito di una formazione prestabilita ex ante, cerchi di non eludere la legittima e sacrosanta richiesta del legislatore e della società civile, di una regolamentazione ex post, di un riconoscimento e di un'articolazione del "mestiere" di psicoanalista, nel suo versante professionale, e dunque inevitabilmente economico e sociale, con l'Altro simbolico, rappresentato non tanto da una Legge in quanto tale, quanto, e prima di tutto, dalla collettività dei consumatori, degli stakeholders e della società nel suo insieme.

    • Roberto Cheloni

      Commento alla sentenza della Corte di Cassazione del 2011.

    • Davide Natta

      La psicanalisi, nella sua accezione tradizionale, è una pratica formativa. Lo scopo principale dell’analisi è di produrre un analista. La dimensione terapeutica è solo un’applicazione possibile, nemmeno l’unica, della psicanalisi. La maggior parte degli psicanalisti sembra abbia dimenticato questa scomoda verità, non sottolineando, con sufficiente decisione, l’estraneità della psicanalisi dalla legge che regolamenta le psicoterapie in Italia. La psicanalisi ha perso così, nel tempo, la sua carica critica e la sua forza emancipatrice della soggettività, finendo relegata tra i più disparati di-spositivi di sanitarizzazione della società. Per questa ragione, rivendicare la specificità della psicanalisi, come pratica formativa, rappresenta un dovere politico ed etico di chi vuole ancora riconoscersi appartenente alla tradizione inaugurata da Freud e rivitalizzata da Lacan. La psicanalisi altro non è che la strada data, come possibile, all’individuo per giungere ad essere sovrano sul proprio desiderio. Ognuno di noi, soprattutto nell’attuale epoca di sconvolgimenti sociali e civili, non può dimenticare che non può esserci sovranità, senza libertà.

    • Finizia Scivittaro

      Il desiderio dello psicanalista rappresenta il fondamento della cura psicanalitica stessa, senza di esso non potrebbe esserci una psicanalisi, né nella sua pratica clinica, né nella sua articolazione teorica, né nella sua trasmissione. Il desiderio dello psicanalista si distin-gue dalla struttura fantasmatica del desiderio patologico e prende forma, invece, dal desi-derio etico. Il desiderio etico comporta che il soggetto riesca a recuperare una relazione di giustezza rispetto al proprio desiderio e ai propri atti. Il desiderio etico riguarda il soggetto dell’azione, è un desiderio essenziale. L’analizzante che riesce a portare a termine la sua analisi sarà riuscito a saperci fare col proprio desiderio al punto da poterne individuare uno proprio come psicanalista che gli consentirà non solo di poter condurre delle analisi, a sua volta, ma anche di dare un suo unico e singolare apporto alla trasmissione della psicanalisi stessa.

    • SECONDA SEZIONE

      Andrea Menconi

      L'articolo vuole essere la narrazione del percorso dell'autore, dall'analisi personale alla decisione di diventare analista e alla costruzione della propria "pratica" originale. Verranno messe in luce in particolare le modalità di apprendimento del "mestiere" dell'analista attraverso la frequentazione di un maestro, inteso come colui che, proprio perché non ha nulla da dare, può fornire con la sua testimonianza uno stimolo decisivo per trovare la propria strada a chi si rivolge a lui. Per sfatare alcuni luoghi comuni e per proporre l'idea che il percorso per diventare analista affondi le sue radici nell'antica esperienza dell'"andare a bottega" e in un rapporto assolutamente "carnale" con la lettura e la scrittura della propria esperienza, unita all'incontro con numerosi compagni di viaggio, spesso inattesi.

    • Massimiliano Tosolini

      Il cattivo psicoanalista dunque, in genere, rischia di essere colui che si isola, che pratica poco e che, quando pratica, crede di poter operare al di là delle conoscenze e delle altre esperienze dei colleghi. Per tale ragione è necessario che la comunità degli psicoanalisti sia ancora più unita, oltre che per continuare ad esistere come psicoanalisti, anche, e soprattutto, per esistere come buoni psicoanalisti. Uno dei compiti del Coopi (Coordinamento Psicoanalisti Italiani) è anche questo, oltre alla divulgazione della psicoanalisi mantenendone viva l'esistenza, il Coopi ha tra i suoi fondamenti quello di dare l'opportunità a tutti gli analisti di esercitare la buona pratica tramite lo scambio culturale e umano che solo attraverso gli incontri nelle reciproche differenze è possibile realizzare.

    • Angelo Villa

      Parto da una domanda che apre la strada per una breve riflessione su un problema che, da anni, mi interroga, quello dell’appartenenza nelle associazioni psicoanalitiche. Nei suoi termini generali, il quesito è abbastanza semplice: di cosa fa esperienza un individuo nel corso della sua analisi? In primo luogo di quello che Freud sostiene, e cioè che l’Io non è padrone in casa sua. Il sintomo che conduce l’analizzante a chiedere una cura ne è la prova più evidente; in secondo luogo del fatto che quest’area di non padronanza riporta il soggetto alla sua dipendenza dalle richieste inconsce dei familiari e, dietro di loro, delle generazioni che l’hanno preceduti. Per dirla con Lacan, l’inconscio è il discorso dell’Altro. Provo, dunque, a riassumere: l’analizzante scopre che laddove pensava che la sua vita psichica gli appartenesse, fosse cioè sotto il suo controllo, così non é, ma, indagando indagando, si accorge che la stessa appartiene agli altri. Magari a quegli altri, la famiglia in primis, da cui credeva o cerca di separarsi. La non padronanza non rinvia, insomma, a chissà quale mistico e oscuro recesso della mente, insondabile e innominabile, ma al peso gravoso di una subita iscrizione nel discorso familiare di cui l’individuo porta inevitabilmente i segni.

    • TERZA SEZIONE

      Giorgio Cervati

      Esiste una dicotomia fondamentale prodotta nel corso dei millenni di storia dell'indagine dell'uomo sulla natura e che riguarda il tentativo di definire una sorta di teoria unificante del tutto, dove il tutto è stato centrato sull'uomo e comprensivo di esso. Si tratta della dicotomia “soma” / “psiche” i cui termini vengono molto spesso unificati in un terzo “psicosomatica”, unione che, pur in completa assenza di adeguato fondamento epistemologico, viene fatta funzionare come conseguenza evidente delle premesse e allo stesso modo come ipotesi teorica fondata sull'osservazione dei dati empirici. Si tratta in realtà degli effetti di un'importante lacuna teorica che produce indebolimenti enormi nella struttura portante dell'edificio teorico recente e ancora molto fragile - per tutta una serie di motivi - della psicanalisi. Occorre, infatti, tenere conto di quali siano i punti di appoggio su cui tale edificio è stato fondato e successivamente integrato, mettendone alla prova la tenuta del campo teorico in una sorta di - per utilizzare un parallelo fisico - verifica statico/dinamica.



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    M@gm@ ISSN 1721-9809
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